Immagina di passeggiare in un posto dove l’aria è invisibilmente letale, i suoni sono assenti e ogni attimo potrebbe essere il tuo ultimo. Un luogo dove nessun essere umano potrebbe mai sperare di sopravvivere senza pesanti protezioni. Questo scenario non è un film di fantascienza, ma è quello che i robot esploratori spaziali, come i rover su Marte o i robot inviati in disastri nucleari, affrontano durante le loro missioni. Ma come fanno questi intrepidi robo-esploratori a resistere alle nocive radiazioni?
Cominciamo col capire che cosa sia la radioattività. Si tratta dell’emissione di energia sotto forma di particelle o onde, generata dal decadimento di materiale radioattivo, come l’uranio. Nella vita quotidiana, incontriamo livelli bassi di radiazioni tutto il tempo, ma i livelli presenti nello spazio o in una centrale nucleare danneggiata possono essere milioni di volte superiori e possono danneggiare o distruggere i tessuti viventi e anche i circuiti elettronici.
Per proteggere i robot da questi pericoli invisibili, gli scienziati usano una combinazione di design ingegnoso e materiali speciali. Gli ingegneri in primo luogo cercano di miniaturizzare e semplificare i circuiti elettronici. I circuiti più piccoli e semplici hanno meno probabilità di interruzione o malfunzionamento a causa di radiazioni.
Inoltre, i componenti elettronici dei robot spaziali sono spesso realizzati con tecniche di “indurimento alle radiazioni”. Questo significa che vengono progettati per resistere alle radiazioni, utilizzando materiali che assorbono meno radiazioni o che sono meno soggetti a danni. Per esempio, i transistor, che sono i mattoni fondamentali della maggior parte dei circuiti elettronici, possono essere costruiti in maniera tale da essere più tolleranti alle radiazioni.
Un’altra tecnica è l’uso di schermature. Proprio come gli indumenti in piombo proteggono i tecnici radiologici qui sulla Terra, i robot spaziali possono essere avvolti in materiali che riflettono o assorbono la maggior parte della radioattività. Questi materiali possono includere piombo, ma anche polietilene o leghe speciali.
È interessante notare che alcuni robot aprono la strada ad un uso ancora più audace della tecnologia: il riuso di materiali radioattivi come fonte di energia. Le sonde spaziali lontane dal Sole, come quelle inviate ai confini del nostro sistema solare, spesso utilizzano generatori termoelettrici a radioisotopi. Questi generatori raccolgono il calore prodotto dal decadimento naturale di materiali radioattivi come il plutonio, e lo convertono in elettricità per alimentare il robot.
I sistemi computerizzati dei robot esploratori sono anch’essi progettati per essere “sostenibili”. Sono equipaggiati con software capace di rilevare errori causati dalle radiazioni e di ripristinare il sistema a un precedente stato funzionante. Questa resilienza nel software, unita alla robustezza del hardware, rende i robot particolarmente adatti a gestire gli ambienti impervi e radioattivi.
Infine, il segreto dietro la resistenza dei robot esploratori alle radiazioni è un mix di innovazione materiale e strategia. Ogni componente, dal più piccolo chip al software che gestisce il robot, è pensato per far fronte alle aggressive condizioni dello spazio e di altri ambienti ostili sulla Terra. Grazie a questi progressi, possiamo inviare i nostri audaci ambasciatori robotici dove nessun uomo potrebbe sopravvivere, aprendo nuove frontiere nella conoscenza e nell’esplorazione.
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